Il progetto, finanziato con l’8xMille della Chiesa Valdese, prevede 9 mesi di laboratori di prevenzione e contrasto della violenza di genere rivolti a giovani donne con disabilità.
I laboratori si svolgono a Nuoro, sono gratuiti e aperti a donne provenienti da tutta l’isola.
La violenza sulle donne non è un fenomeno emergenziale ma strutturale, poiché basata sul genere: è uno dei meccanismi sociali per mezzo dei quali le donne vengono subordinate agli uomini.
Il fenomeno risulta essere ancora più complesso per le donne con disabilità che subiscono discriminazioni multiple perché già impegnate a conquistare diritti, spazi e riconoscimento delle loro condizioni.
Tra i pregiudizi più frequenti intorno alle donne con disabilità c’è quello della costante infantilizzazione e invalidazione dei corpi. Alle donne con disabilità viene di frequente negata la validità sessuale e questo innesca una serie di meccanismi che possono avere diverse conseguenze sia per quanto riguarda la salute, che per la libertà. La sessualità e la validazione sessuale arriva con l’età adulta. Negando la validità sessuale e la desiderabilità di una donna si nega il raggiungimento dell’“adultità”, ossia la capacità di autodeterminarsi, l’autorevolezza, l’autonomia sulle scelte della propria vita. Attraverso questo processo di infantilizzazione le donne con disabilità vengono spesso trattate come delle eterne bambine, con conseguenze anche drammatiche. La negazione del corpo sessuale e sessuato porta spesso a mancanza di accessibilità alle informazioni riguardanti la salute e il piacere sessuale.
Le donne con disabilità arrivano a una relazione spesso senza avere alcun tipo di informazione sul proprio corpo. E la maggior parte delle informazioni legate al piacere sessuale delle persone con disabilità sono basate esclusivamente dal punto di vista maschile. A differenza di ciò che viene percepito secondo l’immaginario collettivo, le donne con disabilità sono esposte a rischio di violenza fisica e psicologica. Una ricerca condotta per conto del Parlamento Europeo stima intorno all’80% la percentuale di donne con disabilità vittime di violenza. Esiste ancora l’idea generalizzata che lo stupro sia relativo solo ad alcune persone e situazioni. È importante ricordare invece che lo stupro ha a che fare con il potere, e riguarda tutte le donne, comprese quelle con disabilità. Quando parliamo di squilibri di potere, laddove una persona viene percepita come debole e più fragile, può diventare in alcuni contesti un bersaglio preferenziale.
Questo è dovuto a molteplici fattori tra cui anche la percezione del proprio corpo come non desiderabile che le porta a rimanere in storie abusive comprensive di violenze psicologiche, a causa del pensiero “se non sto con lui non troverò nessun altro e rimarrò da sola, devo essere grata che mi voglia”. Inoltre le donne con disabilità, non essendo percepite dalla cultura dominante come possibile bersaglio, non vengono neanche in qualche modo preparate a riconoscere i segnali della violenza e arrivano a contesti abusanti pensando che sia normale e che non possano ottenere niente di meglio.
Tutto questo porta ancora di più le donne con disabilità a non essere credute in caso di violenza, non percepite come bersaglio, o viceversa, in caso di disabilità di tipo intellettivo/cognitivo ipersessualizzate e quindi provocatrici. Inoltre la mancanza di autonomia impedisce alle donne con disabilità non solo di denunciare ma anche di allontanarsi fisicamente dalla persona abusante, che spesso è rappresentata dal care giver stesso.
La metodologia usata nei laboratori è quella basata sulla relazione tra donne, con il focus sull’empowerment, l’autonomia di espressione della propria soggettività, di conquista di forza e di autodeterminazione. I laboratori favoriranno la conoscenza di sé attraverso l’altra, incoraggiando processi di fiducia nelle proprie capacità e possibilità.
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