Luisanna Porcu, psicologa femminista, spiega perché la legge Merlin non vada messa in discussione, affermando che “normalizzare” la prostituzione non è un qualcosa che riguarda solo le prostitute ma colpisce noi donne tutte.

articolo originale su globalist.it

Secondo la psicologa quando si parla di prostituzione è indispensabile parlare (se si vuole capire questo fenomeno sociale in tutta la sua grandezza) di patriarcato, di neoliberismo, di parità di genere, di povertà, più precisamente di femminilizzazione della povertà, di tratta e traffico sessuale di donne e bambine/i, di rapporti di potere tra i generi, di migrazioni in un mondo globale, di costruzione delle sessualità e della mascolinità e femminilità, di richiesta maschile, di credenze e miti sociali rispetto alle sessualità maschili e femminili e dell’ oggettivazione della donna.

In Italia in questo momento il Governo parla di riapertura delle case chiuse partendo dalla considerazione che “se le donne lo vogliono che problema c’è?” “le donne che lo vogliono hanno bisogno di diritti e non di abolizionismo”.

Si tratta di due affermazioni molto pericolose che vanno analizzate sia sotto l’aspetto micro (rapporto donna venduta con il cliente) sia macro (strutture di potere: patriarcato e capitalismo neoliberale).

La parte macro è quella che la maggior parte della gente che parla di prostituzione dimentica, ma è fondamentale per analizzare questo fenomeno.

Inoltre molte persone si dimenticano anche di analizzare la genealogia della prostituzione.

Quando si analizza questa, ci rendiamo conto che la prostituzione è sempre stata conseguenza di una doppia morale sessuale prevalente secolo dopo secolo, dove gli uomini potevano non arrivare vergini al matrimonio o essere adulteri, ma le donne no. La sessualità delle donne è sempre stata oggetto di controllo da parte delle società patriarcali.

Parlare di prostituzione come una serie di scelte personali o individuali è un grosso errore in quanto la prostituzione è un problema sociale e non individuale. Esattamente come la violenza maschile sulle donne e la violenza domestica.

Ridurre il problema sociale al consenso corrisponde a non voler approfondire le disuguaglianze tra donne e uomini.

Il fenomeno della prostituzione poco ha a che fare con il fatto che ci sia un numero abbastanza ridotto di donne che vogliono prostituirsi, e questo è proprio quello che il patriarcato nella sua fase neoliberista vuole che si pensi, affermando che il problema sia solo il terribile fenomeno della tratta.

Il problema è la normalizzazione della prostituzione, non solo la tratta sessuale.

I clienti non distinguono la prostituzione forzata da quella che non lo è.

Ai clienti che la donna sia vittima di tratta o “volontaria” non interessa.

Il problema è quindi la domanda maschile quanto le mafie e gli sfruttatori.

Se non scoraggiamo questa richiesta, la prostituzione e la tratta sessuale continueranno ad esistere, così come la disparità tra donne e uomini.
Le strutture di potere come il patriarcato cambiano quando gli uomini smettono di esercitare i loro privilegi.

Legittimare socialmente questa pratica sociale che privilegia gli uomini ci allontanerà sempre di più dall’ottenere la parità tra donne e uomini.

Gli studi fatti finora affermano che nei paesi in cui è stata regolamentata si è verificato un effetto scala, cioè la tratta sessuale di donne e bambine/i è aumentata.
L’abolizionismo non vieta o impedisce che quelle donne che desiderano veramente prostituirsi (che sono una piccolissima minoranza di donne che praticano la prostituzione, meno del 6-7 %), lo facciano. L’abolizionismo non criminalizza queste donne, e chi lo afferma confonde abolizionismo con proibizionismo.

L’abolizionismo mette in discussione l’uomo che paga per “l’uso del corpo di una donna per fare sesso” contestando il diritto che gli uomini, come gruppo sociale, credono di avere.

L’abolizionismo è contrario alla normalizzazione, cioè al considerare la prostituzione come un qualsiasi lavoro perché la “normalizzazione” causa la disumanizzazione delle donne prostitute che non sono viste come persone umane, ma come oggetti da maltrattare e stuprare.
Se “normalizziamo” la prostituzione qualsiasi donna in condizione di povertà sarà accusata di essere irresponsabile per il fatto che non si impegna nella vendita del suo corpo e della sua sessualità per uscire da una situazione economica negativa, e qualsiasi sostegno che le donne potrebbero ricevere sarà cancellato, per il fatto che sarà possibile vendere il nostro corpo.

Il patriarcato ci modella in modo tale che alcune di noi si trasformano in oggetti sessuali, anziché in soggetti sessuali. La differenza tra essere oggetto o soggetto è abissale. Quando siamo soggetti sessuali sappiamo ciò che desideriamo e, di conseguenza, rispettiamo i nostri desideri, i nostri limiti, ecc. Invece, quando siamo oggetti, ci misuriamo per quello che gli altri vogliono da noi.

Un uomo che paga esercita il suo potere sul corpo che acquista.

Più che pensare di “normalizzare” questo, lo Stato dovrebbe studiare come mettere in discussione i privilegi maschili.

Quando uno Stato lavorerà per questo e per creare scelte e reali opportunità lavorative per le donne, solo allora potrà affermare che “esiste un n di donne che sceglie di prostituirsi”, ma non può farlo prima di allora, non finché vivremo in una società patriarcale che sostiene i privilegi degli uomini sui nostri corpi e che vuole regolamentare la disparità tra uomini e donne.